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L'UNIVERSO INVISIBILE

Astronomia gamma

Sorgenti di emissioni gamma

Il sole Emissione diffusa Stelle di neutroni Buchi neri Nucleosintesi Nuclei galattici attivi Lampi gamma Elettrodinamica

 

La radiazione gamma diffusa dalla galassia

Dopo la scoperta, nel 1968, dell’emissione gamma galattica ad opera del satellite americano OSO-3, le coperture sistematiche del cielo effettuate, tra il 72 e 73, dal satellite americano SAS-2 e, tra il ’75 e l’82, dal satellite europeo COS-B hanno permesso di tracciare i contorni della forte emissione gamma di alta energia concentrata lungo la Via Lattea. Una buona parte di questa emissione proviene dall’interazione dei raggi cosmici con la materia interstellare, un mezzo diffuso distribuito in modo molto poco omogeneo all’interno del disco galattico.

I raggi cosmici sono dei protoni, dei nuclei atomici e degli elettroni che, dopo essere stati accelerati a velocità relativistiche grazie a meccanismi ancora poco noti, viaggiano nel mezzo interstellare dove sono confinati dal campo magnetico galattico. Quando un elettrone relativistico passa nelle vicinanze di un nucleo di gas interstellare (composto per la maggior parte da idrogeno) viene frenato e trasferisce parte della sua energia ad un fotone gamma (emissione per Bremsstrahlung).

Allo stesso modo, quando un protone o un nucleo dei raggi cosmici collide con un protone del mezzo interstellare, vengono create numerose particelle instabili, una delle quali, il pione neutro, tecnicamente po, decade rapidamente in due fotoni gamma. Questi due tipi di interazioni producono emissione gamma di alta energia con spettri diversi: mentre i gamma originati dai po hanno un massimo intorno a 70 MeV e coprono solo le alte energie, l’emissione gamma originata dal Bremsstrahlung interessa anche le basse energie. Nei due casi, però, l’emissione gamma è un tracciatore del mezzo interstellare o, meglio, un tracciatore dell’accoppiamento tra la materia interstellare e i raggi cosmici. Si spiega così la correlazione evidente tra l’emissione gamma galattica misurata da COS-B con la struttura a grande scala della Galassia.

la Va Lattea osservata da COS-B

 

Una grande parte del gas interstellare è concentrato nelle nubi molecolari, grandi strutture fredde e dense propizie all’esistenza del gas in forma molecolare. Malgrado la sua mediocre risoluzione angolare, il telescopio gamma operante a bordo di COS-B è riuscito a identificare l’emissione gamma diffusa proveniente da due gruppi di nubi vicine, nella costellazione di Orione e vicino alla stella r Ophiuci.

Confronto tra la mappa gamma  ottenuta da COS-B (in alto) la primo isofota radio al centro (al centro) ed una carta celeste della corrispondente regione di Orione (sotto)Al contrario, supponendo nota la distribuzione della materia nel mezzo interstellare, è possibile utilizzare i raggi gamma come tracciatori dei raggi cosmici, con la speranza di imparare qualcosa sull’origine dei raggi cosmici e sulla loro propagazione nel disco galattico. È generalmente accettato che la densità dei raggi cosmici che producono raggi gamma di alta energia raddoppia verso la parte più interna della galassia mentre diminuisce sensibilmente verso la periferia, un dato che avvalora l’ipotesi che i raggi cosmici siano accelerati all’interno della nostra galassia. A conferma del sospetto che i raggi cosmici non siano universali, cioè non siano presenti in egual misura in ogni punto dell’universo, è venuta la mancata rivelazione da parte di EGRET della piccola Nube di Magellano. Infatti, se la piccola galassia satellite della nostra Via Lattea fosse stata immersa in un flusso universale di raggi cosmici, con densità simile a quella che misuriamo alla Terra, avrebbe dovuto essere facilmente visibile da EGRET. La mancata osservazione dimostra che nella piccola nube di Magellano i raggi cosmici sono presenti con densità sicuramente inferiore a quella richiesta dall’ipotesi universale.

EGRET

 

A bassa energia, un’emissione gamma diffusa, caratterizzata da righe di emissione a 511 keV e 1,809 MeV, è stata rivelata dalla direzione delle regioni centrali della Galassia.

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L’emissione a 511 keV rivela l’annichilazione dei positroni, probabilmente originati dal decadimento pb+ di elementi radioattivi, nel mezzo interstellare, distribuito nelle regioni centrali della galassia.

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L’emissione di fotoni gamma a 1,809 MeV prova che il mezzo interstellare è sempre arricchito di elementi freschi di nucleosintesi. I fotoni a 1,809 MeV, infatti, dono prodotti dal decadimento dell’isotopo 26Al dell’alluminio, la cui vita dura appena 7,16·105 anni. Grazie ai risultati delle osservazioni gamma, gli astrofisici hanno la certezza che i processi di nucleosintesi hanno ancora luogo nelle regioni centrali della Galassia.

Nella regione dei raggi X duri, fotoni con energia compresa tra qualche decina e centinaia di keV, la galassia appariva pervasa da una tenue luminosità che risultava molto difficile da spiegare. Il telescopio IBIS, a bordo di Integral, ha risolto l’annoso problema. Dove gli altri strumenti vedevano una radiazione diffusa di non meglio precisata provenienza, IBIS "risolve" le sorgenti, grazie alla sua innovazione tecnologica: la maschera codificata associata ad un sofisticato strumento per la rivelazione della radiazione . Si tratta di una combinazione che ci permette di ovviare alla impossibilità di focalizzare i raggi X di energia superiore a qualche decina di keV. La maschera proietta sul rivelatore una sequenza codificata di ombre con le quali è possibile ricostruire, al computer, la carta del cielo. Sono 91 le sorgenti viste da IBIS nei suoi ripetuti puntamenti delle regioni centrali della nostra galassia. In altre parole, IBIS ci dice che l’emissione diffusa è la somma di tante deboli sorgenti puntiformi che gli strumenti precedenti non erano in grado di vedere chiaramente. Risolvendo un problema, IBIS ne apre però un altro …Di che sorgenti si tratta? Più della metà non sono ancora identificate. Si sospetta che possano essere sistemi binari dove una sfortunata stella nutre, suo malgrado, una compagna compatta, stella di neutroni o, più probabilmente, buco nero. Per fare luce sulla natura delle sorgenti che va man mano scoprendo, INTEGRAL si appoggia all’altro osservatorio dell’Agenzia Spaziale Europea, XMM-Newton. Grazie ai suoi specchi per raggi X, XMM-Newton può localizzare con precisione le sorgenti scoperte da INTEGRAL e dare un contributo fondamentale alla loro identificazione. Una vera coppa d’assi per l’ astrofisica europea alla quale l’Italia ha dato (e continua a dare) un importante, ad apprezzato, contributo.

 

L’emissione di fondo del cielo gamma

Fino dalle prime osservazioni X e gamma, gli astronomi hanno rivelato un’intensa radiazione diffusa, dall’apparenza isotropa, che copre una vasta banda dello spettro elettromagnetico da qualche keV a qualche decina di MeV. Questa radiazione viene chiamata emissione di fondo del cielo. L’isotropia della radiazione di fondo del cielo è normalmente considerata prova della sua origine extragalattica, se non cosmologica, testimone dei primi stadi dell’età dell’universo. Osservazioni di questa radiazione vennero effettuate in banda X mediante i satelliti HEAO-1 e ASCA. alt nullQueste misure coprivano un intervallo di energia tra 1 keV e 1 MeV. Le prime misure nell’intervallo gamma di alta energia vennero compiute per la prima volta con SAS-2 nell’intervallo compreso tra 35 MeV e 200 MeV. Queste osservazioni mostrarono per la prima volta che l’andamento spettrale dell’emissione diffusa in questa regione era quello di una legge di potenza. Le misure effettuate con SAS-2 consentirono una prima stima grossolana di questo coefficiente di potenza che risultò -2,3±0,4. La determinazione dello spettro a basse energie rimaneva ancora incerta a causa delle difficoltà di alcune disomogeneità prodotte da emissioni locali. I risultati dell’osservatorio Compton confermarono quelli ottenuti molti anni prima con SAS-2 migliorando la stima del coefficiente di potenza che risultò essere -2,12±0,03.

Nell’intervallo gamma, lo spettro della radiazione di fondo del cielo è caratterizzato da un chiaro cambiamento dell’indice spettrale che, tra 50 keV e 1 Mev, si irripidisce progressivamente tanto che a 100 MeV l’emissione diffusa dalla Galassia maschera completamente quella del fondo del cielo. Ne risulta una specie di gobba che caratterizza l’andamento generale dello spettro nella regione al di sotto del MeV.

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Fino dall’inizio degli anni 70, numerosi astrofisici hanno cercato di capire l’origine dell’emissione gamma di fondo del cielo, sfruttando proprio la presenza di questa gobba intorno al MeV nello spettro. Nessuna spiegazione di carattere cosmologico ha superato l’usura del tempo. Per esempio, durante gli anni 70 è stato sovente postulato che la radiazione di fondo sia stata prodotta da processi di annichilazione protoni-antiprotoni che hanno avuto luogo ai confini tra ammassi di materia ed ammassi di antimateria. Gli sviluppi delle teorie di grande unificazione, avvenuti negli anni seguenti, conclusero che l’universo è costituito esclusivamente da materia, invalidando il postulato di partenza. La fragilità delle interpretazioni cosmologiche spinse gli astrofisici ad esplorare un’ipotesi completamente diversa, basata sull’idea che la radiazione di fondo risulta dalla somma delle emissioni di un gran numero di sorgenti discrete, come ad esempio gli AGN. Giocando sul numero e sulla storia passata dell’attività degli AGN si può riuscire a spiegare contemporaneamente l’intensità dell’emissione e le sue caratteristiche spettrali. In particolare la gobba dello spettro a bassa energia sarebbe determinata dal forte contributo emissivo di radiogalassie e galassie di Seyfert mentre ad alta energia l’andamento con legge di potenza è spiegabile con l’emissione di blazars.

 

Per saperne di più, per gentile concessione della rivista "Le scienze" (file PDF)

 

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