Luoghi comuni da sfatare
Purtroppo si sentono spesso ultimamente dei luoghi comuni a proposito di universita'
e ricerca che rischiano di sviare l'opinione pubblica e di condizionare in modo
errato l'azione del Governo in materia di ricerca.
L'importante e' non fare mai di tutta l'erba un fascio.
- La ricerca (non) e' solo universita'
La maggior parte dei discorsi che si sentono riguardano l'universita', ma solo
raramente si parla degli enti di ricerca. Eppure sono questi che svolgono attivita'
di ricerca a tempo pieno. Pero' per esempio l'ultimo decreto Gelmini su
universita' e ricerca si limita a esentare gli enti di ricerca dal taglio degli
organici, ma non estende ad essi la rimozione parziale del blocco del turnover
concessa all'universita'.
Inoltre permane irrisolto il fatto che gli scienziati che fanno ricerca negli enti
e quelli che la fanno nell'universita' (e che fanno quindi lo stesso lavoro) hanno
da sempre due stati giuridici differenti.
- La ricerca italiana fa schifo
Si citano spesso classifiche, che in genere riguardano l'universita' e considerano
piu' il livello dei servizi agli studenti che l'attivita' di ricerca.
La ricerca astrofisica italiana, svolta prevalentemente nell'INAF, ha uno status
pienamente allo stato dell'arte dell'eccellenza internazionale, come e' stato
riconosciuto sia dalle valutazioni del CIVR, sia dalla recente ispezione di un
Visiting Committee internazionale (e ci piace ricordare che a suo tempo se ne fosse
accorto anche il Presidente Ciampi in un discorso di capodanno).
Per quanto riguarda le attivita' spaziali, l'Italia e', dopo la Francia, tra i primi
contribuenti in Europa. Peccato che spesso non riesca a ottenere un ritorno adeguato.
Una altra prova della elevata qualita' della ricerca italiana e' il grande numero
di ricercatori italiani che vanno all'estero. E questo e' ben noto.
Viene spesso citato per contrasto che sono pochi i ricercatori che dall'estero
vengono in Italia. Ora va detto che le strutture dell'INAF, e in particolare quelle
milanesi, hanno, ormai da decenni, praticamente sempre presso di se' almeno un paio
di ricercatori stranieri. Non va tuttavia taciuto che in Italia le difficolta'
pratiche e burocratiche per chi vuole venire dall'estero sono maggiori che altrove.
- Ci sono troppe sedi
Vengono a volte citate come eccessive sia il numero di sedi universitarie "sotto casa"
che il numero di istituti di ricerca (per esempio a suo tempo per il CNR fu fatto un
accorpamento forzoso di sedi situate dall'Alpi al Lilibeo, senza spostarle, ma
accentrandole dal punto di vista amministrativo).
Va detto che a volte si sentono anche voci contraddittorie, che citano p.es. il
modello dei piccoli college americani per dire che in Italia ci sono poche sedi.
Ora l'interesse degli enti che svolgono ricerca di base, come in astrofisica, e'
legato a una alta qualificazione, e pertanto essi non sono coinvolti ne' interessati
nelle problematiche di quelle sedi universitarie che sono sostanzialmente dei
"super-licei".
L'INAF ha una distribuzione sostanzialmente razionale sul territorio dettata da
motivi storici. Sta effettuando una giusta revisione delle sedi esclusivamente
osservative non piu' giustificate (chiusura dei piccoli telescopi). Potrebbe
indubbiamente beneficiare dalla unificazione di strutture parallele (Osservatori e
ex-CNR) presenti nella stessa citta' (a Torino, Milano,
Bologna, Roma e Palermo)
... ma non ci sono i fondi per l'edilizia per costruire una sede comune !
- Ci sono troppi corsi
Vengono spesso citati come uno spreco corsi di laurea fantasiosi o con pochi studenti.
Tuttavia le scienze di base si appoggiano a pochi e solidi corsi di laurea
"tradizionali" (per l'astrofisica, a pochi corsi di laurea in astronomia e piu'
frequentemente a quelli in fisica) e non sono affette da questa critica.
- Il 3+2 e' il male
Come detto altrove,
l'organizzazione su due livelli di diploma universitario, piu'
il dottorato di ricerca, e' uno standard ampiamente diffuso all'estero. Va anche
detto che, in Italia come all'estero, per fare ricerca, e quindi anche in
astrofisica, e' ormai necessario avere
un dottorato (ed in passato, quando non esisteva, i laureati italiani ottenevano
senza difficolta' posizioni per cui era richiesto "Ph.D. or equivalent"), ed in nessun
paese un ente di ricerca e' interessato a un B.Sc. (diploma universitario,
impropriamente chiamato in Italia laurea di primo livello).
Va anche notata una curiosa peculiarita' italiana ... quella di avere dei fantasiosi
corsi denominati "master" di I e II livello, che sono dei corsi post-laurea. Quando
in tutto il mondo il livello chiamato "master" (p.es. M.Sc.) e' quello della nostra
laurea magistrale (3+2).
Va giustamente notato come per fortuna le scienze, ed in particolare l'astrofisica,
restano esenti da tale peculiarita'. Non si conoscono che corsi di laurea e di dottorato
in fisica e astronomia, e queste sono le qualifiche richieste per entrare all'INAF.
- Ci sono troppi baroni e baroncini
Viene spesso deprecato il "baronato universitario" (che nell'astrofisica non e'
certo un fenomeno di alcun rilievo, e ovviamente non esiste all'interno degli enti
di ricerca). Inoltre viene detto che esistono troppi professori universitari, e che
le tre fasce di ordinari, associati e ricercatori sono equipopolate, invece di
avere una "sana" struttura piramidale.
Va detto invece che negli enti di ricerca, come in particolare e' mostrato per
l'INAF altrove, in genere i livelli
piu' alti non sono sovrappopolati.
E va aggiunto che, in presenza del prossimo pensionamento dei "baby-boomers",
la politica proposta di sostituire un dirigente di ricerca che va in pensione con
un singolo ricercatore iniziale non favorira' certo il ricambio e l'espansione.
Va infine fatto notare come la saturazione di un dato livello (rispetto al suo
organico, sia esso giusto o in difetto) spesso avviene per l'azione delle sanatorie
ope legis. Ma tali sanatorie non sono un male in se', ma l'effetto di un altro
fenomeno negativo, ossia che non sono stati fatti con regolarita' cadenzata un
livello normale di concorsi (questo vale tanto per l'avanzamento di carriera quanto
per il reclutamento iniziale).
- I concorsi sono truccati
Il meccanismo dei concorsi viene spesso criticato, anche se va detto che esso era
stato previsto dalla Costituzione come una forma di protezione dagli arbitrii.
E' sicuramente vero che si tratta di un meccanismo farraginoso, e che all'estero
si puo' assumere con una semplice interview (colloquio).
Tuttavia va detto che il meccanismo dei concorsi negli enti di ricerca e' sicuramente
meno farraginoso di quello universitario (le commissioni sono nominate dalla presidenza
e le prove di concorso sono ragionevoli). Anche il fatto che un concorso venga dato
su un profilo scientifico ben preciso (e non sia un test di cultura generale
astrofisica) e' da considerarsi positivo. Un istituto ha il diritto di scegliere una
persona che sia adeguata a un particolare progetto. E la pratica prova che questo non
impedisce affatto di scegliere magari un brillante esterno rispetto a un interno.
Semmai il problema per gli enti di ricerca e' stato (e continua ad essere) che di
concorsi non se ne fanno abbastanza, a fronte di un gran numero di candidati validi,
ne' con regolarita', e pertanto si viene costretti alle periodiche sanatorie del
precariato.
Si veda ad esempio questa disamina.
- Precario e' bello e giusto
I ricercatori precari sono stati recentemente paragonati a "capitani di ventura"
e si e' sostenuto che il precariato sia uno stato normale.
Ora e' vero che un contratto a tempo determinato non e' cosa da demonizzare
quando sia adeguatamente retribuito e soggetto a tutte le normali protezioni
previdenziali (cosa che per certe forme non si applica), ma anche quando i patti
siano chiari dall'inizio in materia di
durata e rinnovi. Ora questo spesso in Italia non e' possibile non per la cattiva
volonta' di chi da' il contratto, ma perche' questi non puo' contare su un flusso
regolare di finanziamenti con cui pagare il contratto.
Inoltre il precariato a vita o comunque dopo una decina di anni dalla laurea
non esiste in alcun paese civile al mondo, dove i post-doc sono limitati nel tempo
ed esiste il meccanismo del "tenure track" (si veda p.es. questa
scheda).
- Bisogna cercare fondi privati
Viene anche detto che in mancanza di fondi pubblici per la ricerca, gli enti
debbono farsi finanziare dai privati.
Ora, in assenza di mecenati e fondazioni, questo vorrebbe dire farsi finanziare
dall'industria.
Peccato che per la ricerca di base le cose non funzionino cosi'. Infatti, come
descritto altrove, non e' mai l'industria
che da' contratti agli enti, ma semmai sono gli istituti, gli enti o le agenzie
spaziali a dare contratti all'industria per realizzare gli strumenti i cui prototipi
sono stati studiati negli istituti.